di Linda Comerlati
In un periodo storico in cui il mercato immobiliare italiano cerca di riprendersi dalle multiple crisi degli ultimi anni, emerge un ostacolo burocratico che rischia di paralizzare migliaia di compravendite. Il recente aggiornamento del DPR "Salva Casa", che doveva semplificare le procedure, ha paradossalmente creato una situazione di stallo per numerosi immobili storici.
Il nodo cruciale della legittimità edilizia
L'aggiornamento del DPR 380/2001 (Salva Casa) ha introdotto specifiche più stringenti sulla determinazione dello stato legittimo degli immobili. In particolare l’articolo 9-bis comma 1-bis “Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili” ha determinato che lo stato legittimo di un immobile è quello determinato dal titolo edilizio che ne ha previsto o legittimato la costruzione a patto che “in sede di rilascio del medesimo, l’amministrazione competente abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi”. Tradotto in parole povere: nei casi in cui il vecchio titolo edilizio riguardasse la modifica di un edificio esistente, la regolarità e legittimità dell’edificio esistente deve essere verificata. Di prassi però le amministrazioni comunali non erano tenute alla verifica dello stato legittimo degli immobili preesistenti, tanto che nella maggior parte dei vecchi titoli edilizi lo stato di fatto di partenza era indicato come “stato rilevato” o “stato attuale” e non come “stato autorizzato”. Inoltre in fase di rilascio dell’abitabilità il tecnico che usciva prima del rilascio era tenuto alla sola verifica della conformità igienica, non della conformità urbanistico edilizia. Risultato: troviamo molti casi di edifici concessionati, per esempio ampliamenti, ristrutturazioni o sopraelevazioni, addiritttura con rilascio di abitabilità, che però non hanno la verifica dello stato legittimo dello stato di fatto, pertanto non sono sufficienti per avvalorare lo stato legittimo dell’immobile al giorno d’oggi ed è necessario ricorrere ad altre vie per dimostrarne la legittimità.
In particolare bisogna ricorrere al reperimento di documentazione probante (foto, documenti d’rchivio ecc.) come previsti dallo stesso articolo 9-bis comma 1-bis risalenti all’epoca antecedente l’entrata in vigore dell’obbligo di presentare titoli edilizi, che per molti comuni risale al 1942.
Il risultato è che ad oggi, 2024, bisogna ricercare documentazione probante risalente all’epoca antecedente al 1942 per probare la regolarità edilizia di molti immobili realizzati oltre 50 anni fa.
L'impatto devastante sul patrimonio immobiliare
Questa precisazione normativa ha creato un cortocircuito amministrativo di proporzioni significative. La stragrande maggioranza delle pratiche edilizie di oltre 50 anni fa si basava infatti su semplici rilievi dello stato di fatto degli edifici esistenti. In pratica, i tecnici dell'epoca si limitavano a documentare la situazione esistente, senza riferimenti specifici allo "stato autorizzato".
Le conseguenze pratiche
Il risultato di questa situazione è drammatico:
Molti edifici, pur possedendo regolare concessione e certificato di abitabilità, non possono essere considerati conformi dal punto di vista edilizio e urbanistico
L'unica via d'uscita sarebbe dimostrare l'esistenza dell'immobile prima del 1942, anno in cui è entrato in vigore l'obbligo di ottenere una concessione edilizia per le nuove costruzioni
In assenza di tale documentazione, gli immobili si trovano in un limbo amministrativo che ne compromette la commerciabilità
Una soluzione che complica invece di risolvere
Il paradosso è evidente: una norma nata per "salvare" le case rischia di condannarle all'immobilismo commerciale. Per molti proprietari, la situazione si traduce nell'impossibilità pratica di vendere i propri immobili, nonostante questi siano stati regolarmente accatastati e abbiano ottenuto tutti i permessi richiesti all'epoca della loro costruzione.
Prospettive future e possibili soluzioni
È evidente la necessità di un intervento legislativo che possa sbloccare questa situazione. Possibili soluzioni potrebbero includere:
L'introduzione di una sanatoria specifica per gli immobili storici con documentazione incompleta
La ridefinizione dei criteri di legittimità per gli immobili di antica costruzione
La creazione di procedure semplificate per la regolarizzazione degli stati di fatto storici
Conclusioni
Il "Salva Casa" si è trasformato in un paradossale "blocca casa", creando in alcuni casi più problemi di quanti ne abbia risolti. La rigidità della norma, applicata a situazioni storiche dove la documentazione era gestita in modo molto diverso da oggi, rischia di paralizzare una parte significativa del mercato immobiliare italiano.
È urgente un ripensamento della normativa che tenga conto della realtà storica del nostro patrimonio edilizio e delle esigenze pratiche del mercato attuale.